Una lavagnata al giorno: ottobre 2012

mercoledì 17 ottobre 2012

Problematizzare la Preistoria

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Qualche giorno fa ho ricevuto dalla casa editrice La Meridiana (www.lameridiana.it) l'ultimo libro scritto dal Prof. Antonio Brusa, con cui ho avuto il piacere e l'onore di collaborare in passato. Il libro in questione è Piccole storie 1. Giochi e racconti di preistoria per la primaria e la scuola dell'infanzia (scheda nel sito dell'Editore). Cito dalla lettera di accompagnamento:

In questo volume Antonio Brusa ...omissis... raccoglie una sfida: aiutare i docenti, e tramite loro gli studenti, a porsi delle domande corrette sul sapere storico, per andare oltre gli stereotipi tradizionali e accedere a un racconto problematico del passato, che insegni anche a interrogarsi sul presente. Questo, che rappresenta uno dei traguardi indicati dal MIUR per lo sviluppo delle competenze al termine della scuola primaria, è anche l’obiettivo centrale del volume Piccole storie 1, interamente dedicato alla preistoria, primo volume di un percorso che ripercorrerà, nei prossimi volumi in uscita, le diverse epoche storiche, offrendo ai docenti gli strumenti ludico-didattici per addentrarsi nella storia, smuovendo gli studenti dal proprio stato a-problematico verso la disciplina.
...omissis...
L’autore presenta otto giochi da proporsi nella scuola dell’infanzia e nei primi anni della primaria, che servono ad arricchire (eccedendo) il curricolo del docente. Ognuno di questi è dedicato ad una questione storica da svilupparsi secondo un metodo di didattica collaborativa. L’ultimo capitolo, invece, riprende i contenuti in chiave “tradizionale”.


Il libro è doppiamente utile per gli insegnanti, in quanto da una parte fornisce una solida parte teorica (che ha fra gli obiettivi quello di sfatare alcuni stereotipi - fortemente radicati sui manuali - relativi alla Preistoria), dall'altra propone un apparato operativo immediatamente spendibile nella didattica, ricco di schede, spunti, immagini utili.

Sfogliandolo dalla fine verso l'inizio, come sono solita fare, ho piacevolmente scoperto di essere l'ultima voce della Bibliografia, per un articolo sulla rivista Mundus. E ancora mi scopro in una nota che inizia così: "Naturalmente non ho nulla contro l'uso intelligente dell'elettronica, per il quale invito a leggere A.R. Vizzari etc". Grazie!

Per finire, embeddo alcune pagine del libro, per dare un'idea della sua articolazione.

giovedì 11 ottobre 2012

Le 24 ore settimanali: sfogo insolitamente lungo

In genere non scrivo qua articoli di opinione o perorazioni: segnalo le risorse tecnologiche in modo rapido e stop. Ma ieri ci hanno ventilato - come soluzione ai mali dell'Italia - la reificazione di un timore e voglio parlarne.
La proposta del Ministro Profumo è quella di portare da 18 a 24 l'orario di lezione settimanale degli insegnanti della scuola secondaria (di primo e di secondo grado). Ovviamente il peso morto da tagliare è costituito come sempre dagli insegnanti... chissà che cosa ne direbbe Freud.
Parliamo delle ore settimanali di un insegnante della secondaria.
Attualmente, un docente della scuola secondaria fa, in classe, 18 ore. Sottolineo: in classe.
Poi ci sono le ore degli incontri pomeridiani: consigli di classe, collegi docenti, riunioni di dipartimento, GLH, colloqui con i genitori et alia.
E infine c'è il lavoro sommerso effettuato a casa.
Suddetto lavoro sommerso ha le seguenti caratteristiche:
- un ambiente della casa adibito a studio piuttosto che ad altro (che so, camera per gli ospiti),
- un computer acquistato privatamente, senza possibilità di scaricarlo come fanno i professionisti,
- uso di stampante, carta e inchiostro di casa,
- uso della corrente domestica,
- utilizzo della connessione domestica.
Un lavoro svolto circondati da familiari (consorti e figli) che non riescono a capacitarsi che il loro caro ci sia e allo stesso tempo non ci sia. Come si può lavorare nelle ore che invece dovrebbero essere dedicate alla vita privata? Ma non è tempo libero, dico sempre ai miei cari, sono ore che per me è doveroso dedicare alla scuola.
Per questo ho sempre detto: 18 ore settimanali (più riunioni pomeridiane) vi sembrano poche? Bene, fatecene fare altre 20 a scuola per lavori d'ufficio, poiché di pomeriggio noi siamo tenuti a svolgere svariati lavori a casa:
- redazione di programmazioni e relazioni,
- predisposizione dei materiali,
- preparazione e correzione delle verifiche scritte,
- comunicazioni epistolar-telematiche con gli alunni per sempre più diffusi progetti tecnologici particolari,
- doveroso aggiornamento contenutistico e metodologico.
Ho detto lavori d'ufficio, non di classe.
Ossia, dateci un ufficio - tecnologicamente attrezzato - a scuola.
Non basta la sala professori, quello stanzino con una decina di sedie e senza la minima strumentazione. Intendo un ufficio ogni 3-4 professori, come avviene per qualsiasi altro impiegato della pubblica amministrazione.
Fa comodo non darci quelle ore, vero? Fa comodo che connessione, stampe e fotocopie le facciamo direttamente da casa, con scontrini e bollette a nostro carico. Il mancato riconoscimento delle ore extra dell'insegnante significa far risparmiare allo Stato cifre insospettabili.

Tra la laurea e il concorso a cattedre ordinario ho lavorato in un ipermercato come cassiera part-time. Facevo 24 ore settimanali, poi passate a 23 con lo stesso stipendio (un gradito regalo). Un lavoro massacrante (provate ad avere a che fare con clienti inferociti per cose che non dipendono da voi), tanto che quando ci spaccavamo la schiena per caricare scatoloni dal magazzino ci rilassavamo perché con la mente potevamo dedicarci ad altro. Era un lavoro inadeguato per una laureata, ma tornavo a casa e staccavo totalmente.
Con la scuola questo non avviene, non si stacca mai. Uno non fa l'insegnante, uno è insegnante. Per questo anche a distanza di decenni gli ex alunni ci chiamano ancora "Prof.".
Come mamma insegnante posso dire che il meglio dal punto di vista educativo lo riservo ai miei alunni, perché quando torno a casa ho bisogno del mio angolo di silenzio (dopo ore e ore in classi sempre più numerose), per cui con mio figlio che mi cerca perdo subito la pazienza che invece in classe mantengo fino allo spasimo.
E ricordo che mia madre, anche lei prof. di Lettere alle "medie", quando tornava a casa veniva assalita da noi figlie che ci sentivamo rispondere "Lasciatemi sola, mi rintrona la testa, ho bisogno di silenzio".
Facendo 24 ore settimanali in classe inevitabilmente si ridurrebbero il tempo e l'energia da dedicare al lavoro sommerso (quello svolto a casa a nostre spese) per preparare materiali, correggere verifiche e tutto quello che ho elencato sopra. Perché, se lo Stato ci considera dei pesi morti che fanno lo stretto indispensabile, io inizio a fare lo stretto indispensabile, a livello di tempo domestico e anche di impiego di materiali acquistati personalmente. Questo giova alla qualità della formazione dei ragazzi?
Parliamo anche delle 24 ore in cui abbiamo la totale responsabilità su una trentina di minorenni, che non si possono assolutamente lasciare soli neppure per le motivazioni più sacrosante come l'andare in bagno per un bisogno fisiologico impellente o per cambiare il Tampax (un'insegnante può dire "Tampax" o deve dare l'idea del robot asessuato?). Non esistono necessità fisiologiche da assecondare: l'insegnante non può abbandonare la classe per cose così frivole come andare alla toilette. Un tempo si contava sui collaboratori, ma con i tagli inferti anche a quella categoria dobbiamo imparare a trattenere all'inverosimile.
E la qualità della didattica? La personalizzazione dei percorsi?
Ah però c'è lo spauracchio della valutazione Invalsi. Dobbiamo lavorare in funzione di quello... quindi quelle 24 ore settimanali le dedicheremo soltanto all'addestramento Invalsi, per avere capra e cavoli?
Sono stata farraginosa e incompleta, ma dovevo sfogarmi ed esprimere il mio punto di vista di insegnante appassionata prima di entrare a scuola. Perché oggi, a scuola, entro alle 10, con buona pace di chi odia la mia categoria.